domenica 10 gennaio 2016

Un assaggio di Irlanda del nord.Da Belfast alle Causeway




L’Irlanda ci appare come una distesa verde,  il colore verde è la prima cosa che si percepisce, che ti prende e ti avvolge completamente. Ma l’Irlanda non è solo una estensione di prati da pascolo e coltivati, non è solo l’immagine di pecore o mucche che tranquille trovi ad ogni giro d’occhio lungo l’itinerario turistico.

La città di Belfast, è  il capoluogo della provincia dell’Ulster, e capitale dell’Irlanda del Nord, Dal XVII secolo ha assunto dimensioni considerevoli e nei due secoli successivi è diventata un centro commerciale ed industriale di prim’ordine,  vi sono sorte numerose industrie specializzate nella produzione di  lino, corda, tabacco, e nell’ingegneria pesante e cantieristica navale. Nei cantieri Harland and Wolff di Belfast, uno dei più grandi del mondo, è stato costruito il Titanic di cui conosciamo la triste storia, la massima espressione della tecnologia navale di quei tempi, il più grande e lussuoso transatlantico del mondo.

La nostra visita è stata breve ma intensa. Abbiamo girato per Belfast, una città moderna, ordinata, pulita, lontani i tempi dei Troubles. Si respira un’aria di sviluppo, di crescita con  il grandioso Titanic Quarter, un prodigio di architettura, e l’area commerciale di Victoria Square con la grande cupola dalla cui piattaforma si ammira la città con
uno sguardo che la comprende tutta, dove dominano le famose gru gemelle “Samson” e “Goliath” dei cantieri Harland and Wolff

Il municipio di Belfast situato in Donegall Square è aperto ai visitatori gratuitamente e una guida spiega dettagliatamente gli interni, peccato che sia solo in inglese e non riusciamo ad afferrare granché, ma fortunatamente abbiamo la nostra guida personale Annette che ci ha tenuto compagnia per tutta la nostra permanenza (Annette Kkelly “English teacher/overseas coordinator” e mail a.Kelly.belfast@gmail.com).
La City Hall è fantastica;  imponente ed elegante, dall’esterno ci appare nella sua solidità neoclassica . Il magnifico edificio è punto di riferimento e simbolo di orgoglio civico per la cittadinanza.

È stato realizzato nell’agosto 1906, in un momento di prosperità senza precedenti, al tempo di grande forza industriale per la città, poi ricostruito dopo la seconda guerra perché Belfast città portuale è stata pesantemente bombardata, proprio come la nostra Livorno.
I visitatori del Municipio entrano dall’impressionante portico in pietra e marmo che introduce nel vestibolo e nella sala d'ingresso principale. Questa entrata è mozzafiato, sono utilizzati quattro tipi di marmo, tre provenienti dall’Italia e uno dalla Grecia.
Superata la Porte-cochère  ci troviamo in una splendida sala e di fronte abbiamo la scalinata in marmi di Carrara, Pavonazzo e Brescia, ricoperta da un sontuoso tappeto rosso.

Sopra di noi la cupola principale che sorge ad un'altezza di circa 53 metri (173 piedi) terminanti in una lanterna. La Galleria Whispering –galleria dei bisbigli – è simile a quella della Cattedrale di Saint Paul a Londra che circonda l'interno del Duomo, e prende il nome da una stranezza affascinante nella sua costruzione, per cui il sussurro fatto contro al muro, si può ascoltare da qualsiasi punto vicino alla galleria. Guardando in alto sopra l'occhio della cupola principale una cupola in miniatura sorge su un colonnato circolare, quattro archi principali la sostengono. Il centro della rotonda è aperto e una galleria circolare sovrasta il pavimento della Sala d'ingresso e offre una vista ininterrotta dal livello del suolo alla cima della cupola. Un punto di grande attrazione è il murale del famoso artista di Belfast John Luke, commissionato dal Consiglio per la Promozione delle Arti in occasione del Festival of Britain 1951, esso celebra l’attività industriale della città.
Entriamo quindi nella grande sala consiliare. Il Belfast City Council si riunisce qui il primo giorno lavorativo di ogni mese, i suoi 51 membri hanno il privilegio di condurre i lavori che riguardano gli  affari della città in un ambiente suggestivo. Il salone è simile alla Camera dei Comuni, Westminster, i posti a sedere sono  rivolti verso l'interno con una passerella centrale che porta ad un palco nella parte superiore. Punto centrale di riferimento è lo scranno del sindaco con la seduta in quercia intarsiata affiancato da quelli del vice sindaco e direttore generale.

La Sala Grande è bellissima, è difficile credere che sia stata  quasi completamente distrutta da un raid aereo tedesco, la notte del 4 maggio 1941. Ricostruita nel 1952, nel proseguo degli anni è stata riportata al suo originale splendore. Allo scoppio della guerra, nel 1939, sette vetrate erano state rimosse per essere preservate dal conflitto. Una volta che la sala è stata ricostruita, le finestre sono state rimesse al loro posto. Rappresentano ritratti dei monarchi che hanno visitato Belfast prima del 1906, il re Guglielmo III, la regina Vittoria e Edoardo VII. Le finestre rimanenti mostrano gli stemmi delle quattro Province d'Irlanda; Ulster, Munster, Leinster e Connaught. Nel dopoguerra si è provveduto al ripristino della illuminazione della sala con lampadari che sono riproduzioni di quelli originali, a tema nautico, per fortuna il produttore era ancora in vita ed aveva archiviato i disegni.


Scendiamo e ammiriamo le grandi vetrate  colorate che raffigurano gli eventi più significativi del passato storico: la Guerra Mondiale, il Centenario del Municipio, la grande carestia, lo sciopero del 1907, lo  stemma di Belfast, la concessione della Carta di re Giacomo I, la ridefinizione di Belfast come County Borough nel 1899.
A questo punto ci concediamo una pausa nella splendida sala caffè, dove l’arredamento antico e l’efficienza del servizio sono perfettamente in armonia.
Uscendo l’attenzione è richiamata da una grande targa su cui sono incisi i nomi di colori che sono morti nel disastro del Titanic.
Ci sediamo quindi su una delle panchine che sono intorno all’edificio, dall’ingresso del Municipio una graziosa sposa vestita di bianco esce con lo sposo e un gruppo di persone per scattare le foto. Il cielo si è intanto coperto e una pioggia prima fine poi più fitta comincia scendere. Mi viene da pensare “sposa bagnata sposa fortunata”, in Irlanda non certo un’eccezione con la pioggia così frequente!

La nostra cara Annette promette di portarci in un luogo dove il tempo ha lavorato non per trasformare ma per conservare. Arriviamo in Donegall Square 17 dove c’è la biblioteca Linen Hall Library. È una istituzione veramente unica. Fondata nel 1788, è la più antica biblioteca di Belfast.
È famosa per la sua unica Collezione di Studi Locali e Irlandesi che comprende interi Fondi dei primi libri stampati in Belfast e Ulster  fino ai 250.000 titoli della Collezione Politica dell’Irlanda del Nord, un incomparabile archivio del recente conflitto. Ma questa biblioteca vanta anche l’Archivio del Teatro e delle Arti Performative, una collezione esclusiva che riflette il ricco patrimonio culturale irlandese ed inoltre una collezione di genealogia e araldica ed altro materiale prezioso per chi è interessato a rintracciare la storia della propria famiglia. Sono organizzate visite guidate e un particolare servizio di orientamento per i nuovi visitatori e per i bambini con un’area di lettura a loro riservata.
Saliamo le scale in legno e ci ritroviamo al primo piano. L’ambiente è magico, affascinante, lettori e studiosi si trovano nel vasto locale semi nascosti in nicchie create dall’intersecarsi di scaffali in legno carichi di libri dalle copertine antiche. Sembra quasi che qui la cultura abbia un odore di remoto, come in una chiesa, o in un monastero ci troviamo in un mondo in cui la realtà arriva filtrata ed epurata dal frastuono dell’attualità. Al secondo piano è situato un caffè nella Northern Room, questa è l’unica area della biblioteca in cui è permesso bere e mangiare. Al banco prestito Annette ci presenta una giovane bibliotecaria italiana; gentile e sorridente ci dice che è di Torino, è arrivata lì per una specializzazione post laurea, ha trovato lavoro ed  è rimasta. Quello che colpisce di questa parte di Irlanda che visitiamo è la felice coniugazione di antico e moderno, saper legare la tradizione, le radici, il passato, al nuovo, al moderno, alla tecnologia.


Il giorno dopo partiamo con la nostra vettura presa a noleggio per una escursione fuori città, la guida a destra non è una novità per noi dopo essere stati a Malta ma è pur sempre un riadattamento delle nostre abitudini. La direzione finale sono le Giants Causeway, un luogo dichiarato patrimonio dell’umanità unico nel suo genere, dove miti e leggende raccontano di imprese eroiche e ardite, fate, spiriti, presenze misteriose.

Ci fermiamo al  Castello Ballygally
Si trova sulla pittoresca costa di Antrim, a soli 26 miglia da Belfast, vecchio di 400 anni è l'unico edificio del 17 ° secolo ancora utilizzato come residenza in Irlanda del Nord oggi. È stato oggetto  di importanti lavori di ristrutturazione, e adesso è il migliore hotel sulla famosa Causeway Coastal Route. Nella parte moderna c’è  un arredamento contemporaneo combinato al gusto antico e tradizionale che contribuisce a creare un'atmosfera calda e accogliente.
Il castello è stato progettato come un luogo di difesa, per via della situazione di grande instabilità nel paese al tempo in cui è stato costruito, nonché come residenza dei proprietari, e nel corso degli anni e dei secoli è passato attraverso molte peripezie.
Ballygally Castle  venne edificato nel 1625 da James Shaw e sua moglie Isabella Bisbane. Sopra la porta d'ingresso principale che porta alla torre, c’è l’iscrizione "1625 Godis Providens is my Inheritans", sormontata da uno scudo con lo stemma delle famiglie Shaw e Brisbane e le lettere JS e I. B. che rappresentano le loro iniziali.
James Shaw, nativo di Greenock, in Scozia, era venuto in Irlanda nel 1606 in cerca di fortuna. Nella  zona Ballygally, nel 1613, entrò in possesso di un sub-concessione di terreni, a basso affitto per 24 sterline ogni anno, dal Conte di Antrim. E  in questa terra fece costruire il castello.
Esso è servito anche come un luogo di rifugio per i protestanti durante le guerre civili. Durante la ribellione del 1641 il presidio irlandese di stanza a Glenarm provò in molte occasioni a entrarne in possesso ma senza riuscirci. È stato di nuovo usato come una fortezza nel 18 ° secolo. Agli inizi del 1800 la famiglia Shaw perse terre e ricchezze e la tenuta fu venduta alla famiglia Agnew per £ 15,400.
Successivamente venne per molti anni occupato come stazione di guardia costiera, e poi come residenza privata dal reverendo Classon Porter e la sua famiglia che vi risiedette per molti anni. È  stato poi acquistato dalla famiglia Moore che poi l’ha venduto al milionario tessile Mr Cyril Signore nei primi anni cinquanta, e quindi ristrutturato come hotel, ma lasciando la parte antica  alla sua edificazione originale.

 Tutti sanno che è abitato da un fantasma gentile, la signora Isabella, e gli ospiti coraggiosi possono visitare la sua stanza privata nella torre antica! Cosa che anche noi abbiamo fatto. Salendo una strettissima e ripida scala a chiocciola si arriva alla stanzetta di Isabella proprio in cima alla torre, da qui si aprono delle finestrelle lungo il suo perimetro circolare da cui si domina sia la costa con la spiaggia ai cui lati troneggiano  due scogliere che si tuffano nel mare, sia, sul dietro, i giardini fioriti attraversati nella zona più profonda da un piccolo fiume sormontato da ponticelli che introducono nella zona boschiva. Alle pareti il ritratto di Isabella e del signor Shaw e uno specchio che sembra tanto quello già visto nelle favole, in un angolo il letto di Isabella. La stanza è molto piccola, e a stento ci entriamo in quattro, un minuscolo spazio si apre però in un lato  della stanza con un’altra piccola finestra, alla parete è appesa una scura mantella, chissà forse appartenuta ad Isabella?

Se ogni castello deve avere almeno un fantasma a Ballygally recentemente ne sono stati segnalati addirittura tre. Ma la tradizione popolare ci dice che il fantasma del castello è quello di Lady Isabella Shaw, moglie di Lord James Shaw. Questa la sua storia. Lord Shaw desiderava un figlio maschio, e quando la moglie partorì una bambina la sua reazione fu terribile. Gli strappò la bambina e rinchiuse lei in cima al castello. Isabella si ribellò, ma mentre cercava di fuggire per cercare il suo amato figlio, cadde dalla finestra della torre e morì. Questo quanto viene tramandato anche se si  racconta che in realtà Isabella venne gettata dalla finestra dal crudele Signore Shaw o da uno dei suoi scagnozzi per suo conto.
Comunque il fantasma di Isabella è noto per essere uno spirito "amichevole" che cammina per i corridoi del vecchio castello. Nel corso degli anni molti ospiti hanno riferito esperienze strane e hanno sentito una presenza nelle loro camere, ci sono anche storie infinite di rumori inspiegabili nella notte e di una misteriosa nebbia verde che si alza sopra il castello.
Una camera da letto dell’hotel è dedicata a Isabella, la stanza del ghost è proprio quella stessa che abbiamo visitato nella parte più antica, e lì ci dormono solo i coraggiosi.

Ci rimettiamo in cammino per il nostro viaggio iniziato a Belfast. Abbiamo seguito la strada costiera fino all'area di Larne e siamo infine arrivati all'area delle Causeway, detto il selciato del gigante, un luogo fatato.
Il paesaggio suscita nel visitatore l'idea del meraviglioso, del fantastico, una visione che stupisce e apre le porte della fantasia. La verde Irlanda è diventata una distesa di blocchi esagonali perfettamente sistemati l’uno accanto all’altro.
Siamo davanti a rocce a base quasi perfettamente esagonale, una accanto all'altra come se fossero state sistemate con in mente un progetto preciso. Sembra quasi che un gigante si sia divertito a creare quel paesaggio con enormi “mattoncini” della Lego fatti di roccia. La spiegazione scientifica ci dice invece che circa 60 milioni di anni fa tre grandi getti di lava si posarono lì e raffreddandosi formarono l'altipiano basaltico di North Antrim al termine dell'ultima era glaciale. Ma così forti sono le suggestioni che il paesaggio suscita che a noi sembra più naturale richiamare la leggenda, i racconti della tradizione, come vera fonte cui attingere per avere spiegazioni di tanta meraviglia.

La leggenda ha molte varianti. Si dice che le colonne di basalto siano il risultato dell’opera di un gigante, di FinnMcCool, che costruì il selciato per raggiungere la sua amata che viveva in Scozia. Un’altra versione invece racconta che il gigante scozzese Benandonner stava minacciando l'Irlanda e Finn, furioso, afferrò le rocce della costa dell'Antrim e le lanciò nel mare, riuscendo così a formare un percorso per arrivare dall’altra parte e dare una lezione a Benandonner.

Ma Benandonner si rivelò tremendamente imponente e Finn dovette battere in ritirata, seguito dal gigante nemico. Ritornato su terra irlandese venne salvato dall’astuzia della moglie che lo travestì da bambino. Lo scozzese a quel punto vedendo la mole del bimbo, si convinse che il padre dovesse essere davvero gigantesco, molto più di lui e decise di ritornare presto in Scozia.

Paesaggi mitici, racconti magici. Non stupisce che questo luogo sia stato dichiarato "Sito Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco; la Giant's Causeway oltre ad essere un paesaggio meraviglioso rappresenta la porta d'accesso al passato più antico della Terra, ed appartiene al mito più che alla storia.

Sulla strada di ritorno parliamo del più e del meno. Annette ci racconta della sua infanzia irlandese e indicando le distese verdi, gli animali sui prati ci dice che quel che si vede è parte della sua vita di bambina. È nata in una fattoria dove vivevano più famiglie con il nonno capostipite ed ha ancora vivi i ricordi di quel sereno passato. Ci regala alcuni frammenti della sua memoria che ci aiutano ancora di più ad entrare in sintonia con questo bellissimo paese.
Si lavorava duro, il nonno si alzava la mattina presto e alle cinque era già nei campi a contare gli agnelli e a lavorare la terra con il trattore. Tornava solo alle cinque della sera. Stava quindi fuori tutto il giorno e si portava dietro la colazione che era anche il pranzo. Annette ci dice che il nonno metteva sotto il cappello un fagottino con il cibo e si portava dietro un pentolino per prendere l’acqua del fiume, ne ricorda ancora il tintinnio che faceva quando il nonno lo portava legato alla cintura. Le donne avevano il loro daffare. In casa non c’era l’acqua e la mattina la nonna andava a prendere l’acqua  alla fonte con un bastone appoggiato sulle spalle dove attaccava i secchi da riempire per le dodici persone della grande famiglia. Poi c’era da curare gli animali da cortile – le galline, i maiali, un cavallo, i paperi che stavano in un piccolo stagno dietro la casa – e lei accompagnava la nonna nel lavoro.
La domenica era dedicata al riposo e la colazione era abbondante, a turno si occupavano di prepararla; come la classica Ulster fry, era molto forte dal punto di vista nutritivo e calorico ed era composta di salsicce, fagioli, funghi fritti, pomodori fritti, uova; si mangiava a letto con crumbs  blanket – la coperta per le briciole - .

Una bella esperienza questo breve vacanza irlandese, purtroppo il  momento della partenza è presto arrivato e ci dobbiamo salutare ma già abbiamo in mente un nuovo itinerario per la nostra prossima visita.














martedì 5 gennaio 2016

Mostra Palazzo Blu Pisa Toulouse Lautrec “Luci e ombre di Montmartre”


Toulouse LautrecUna mostra molto visitata in questi giorni di festività natalizie è “Luci e ombre di Montmartre” a Palazzo Blu di Pisa

 Paola Ceccotti

Resta aperta fino al 14 febbraio ed è imperdibile, presenta una produzione di Lautrec di manifesti, locandine, litografie, dipinti (comprese opere degli Italiens de Paris, grandi maestri italiani, che si sono ispirati all’arte di Lautrec)  che hanno ritratto la Parigi del Moulin Rouge, di Montmartre, delle “maisons closes” di fine ottocento ma anche altri temi a lui cari come il circo, i cavalli.

Il conte Henri de Toulouse-Lautrec nato da antica famiglia nobiliare ha avuto una vita breve e tormentata, segnata da una malattia genetica alle ossa, conseguenza di matrimoni tra consanguinei nella sua famiglia. Questa malattia, in seguito alle fratture causate da banali cadute a quattordici e quindici anni, ha determinato una deformazione nello sviluppo osseo e l’arresto dell’altezza a 1,52 m., con la costituzione di un corpo deforme in cui un busto normale si ergeva su  gambe di bambino.

Lautrec , affetto da alcolismo e sifilide, è  morto a soli 37 anni ma la sua intensa attività creativa ci ha lasciato un gran numero di opere di cui circa 180 sono esposte alla mostra di Pisa.

images (1)Grande disegnatore realizzò una vasta produzione di litografie, dal 1891 al 1901 ben 351, 28 tra le quali sono i celebri manifesti che l’hanno reso popolare.
Il suo segno incisivo, essenziale, ritrae la fisionomia dei soggetti che abitano il mondo della vita notturna e bohemiènne parigina in figure semplificate. Con poche linee di matita riesce a caratterizzare i vari personaggi e a renderli nella loro individualità; il suo segno grafico essenziale ne ritrae l’espressione donandoli vitalità e originalità a tutto vantaggio dell’obiettivo comunicativo del manifesto pubblicitario. 

Per un insieme di caratteristiche, nella vicenda della pittura di fine secolo, viene quindi considerato l’ultimo degli impressionisti e un precursore dell’espressionismo, momento di passaggio tra i due orientamenti.

divanjaponaiseVenne influenzato dall’arte giapponese  che ispirò la moda del tempo,  come nel manifesto Divan Japonais realizzato per pubblicizzare l’omonimo locale (caratterizzato da interni che richiamano l’oriente ed in particolare il Giappone), dalla linea continua, colore compatto, tonalità squillanti, e la prospettiva strutturata su tre piani.

janeavrilMa la dinamicità della linea nella sua produzione di manifesti lo farà anche precursore dell’Art Nouveau, quello stile di arte applicata conosciuto anche come Liberty, una tendenza che appare nella linea sinuosa del serpente che si avvolge nell’abito di Jane Avril.

La Clowness Cha-U-Kao copiaI soggetti di Lautrec ci portano nei luoghi più noti della vita bohémienne e libertina degli artisti quel periodo: i cafés-concerts e i postriboli che amò frequentare e dove addirittura elesse domicilio, al n.6 della rue des Moulins, e in cui poté così ritrarre i suoi tipi anche e soprattutto in momenti di intima quotidianità e di ozio. Si accostano nella sua arte mondi contrapposti; lui proveniente da una delle più antiche famiglie della nobiltà francese  e il mondo parigino delle ballerine del can can e dei bordelli che è in grado di ritrarre con atteggiamento distaccato.

gouloueI ritratti della Goulue, la golosa per la sua ingorda insaziabilità, sono emblematici di quell’ambiente pervaso dalla scelleratezza del vizio, dalla insensata  prodigalità nello spendere i giovanili entusiasmi e insieme dal candore sfrontato  di chi non veste l’impalcatura della società borghese.


Centenario 1^ Guerra Mondiale 1915/18 Testimonianze e celebrazioni


guerra mondiale 15-18
Paola Ceccotti

Si è conclusa con la conferenza del 17 novembre u.s. presso la Biblioteca Labronica la celebrazione della Grande Guerra curata dalla Associazione Borsi. L’iniziativa è stata incentrata sulla figura di G. Borsi giovane concittadino, nato a Livorno nel 1888 e deceduto in guerra a Zagora, in Slovenia, il 10 novembre 1915 quindi a soli 27 anni.

La mostra allestita nei locali della biblioteca ha esposto una nutrita raccolta di cimeli, documenti e fotografie della guerra tale da fornire una presentazione del tempo e del clima culturale di quel momento storico, soprattutto nella sua rappresentazione medio-borghese.

getImage (1)La Conferenza introdotta da Carlo Adorni e da Paolo Pasquali, con la partecipazione della presidente Nicoletta Borgioli  ha illustrato le vicissitudini che portarono Giosuè Borsi, giovane  laureato, studioso e letterato di grandi speranze, ad arruolarsi volontario nel desiderio di contribuire alla realizzazione degli ideali nazionali.
Borsi fa parte di coloro che si presentarono come volontari, per lo più appartenenti alle classi sociali medio-alte, giovani con studi di tipo superiore, i quali anche se non laureati, con l’accesso a corsi brevi – nel nostro solo due mesi – diventarono sottufficiali e inviati al fronte con la responsabilità di guidare la truppa alla vittoria, con il mito della morte eroica e secondo un’etica del sacrificio.

La guerra venne sentita da quella categoria sociale come liberazione dalle convenzioni borghesi, sotto la spinta di un dilagante nazionalismo.

ManifestofuturismoNel 1909 Marinetti aveva pubblicato su “Le Figaro” il “Manifesto del Futurismo” in cui si invocava la guerra come igiene del mondo, una forza irrazionale che avrebbe spazzato via  la normale e banale esistenza attraverso una fuga dal moderno, verso una esperienza di rigenerazione quasi mistica. I Futuristi furono interventisti, e in Italia la fine della neutralità e l’entrata in guerra venne auspicata per la liberazione delle terre “irredente” di Trento e Trieste.
Fra gli arruolati si verificò una sostanziale differenziazione tra i volontari e i coscritti, quest’ultimi per i quali la guerra aveva voluto dire lasciare la casa e il sostentamento della famiglia,  che non potevano comprendere le ragioni dei primi. La guerra si rivelò un gran mattatoio e una disillusione proprio per chi l’aveva chiesta fortemente, non luogo di realizzazione di spinte eroiche ma applicazione della tecnologia alla industria della morte, in cui il soldato assumeva il carattere di un anonimo e invisibile ingranaggio.

Sarebbe interessante che l’Amministrazione comunale realizzasse, come avvenuto in altri enti, iniziative culturali che rievocassero quei momenti dando visibilità a coloro che costituirono la spina dorsale delle forze militari della prima guerra, con una operazione di recupero di documenti, materiale epistolare, appartenenti a combattenti che provenivano da strati sociali inferiori, quale testimonianza della immagine della guerra da loro vissuta ed elaborata.

Barcellona arte/cultura e, il pensiero alla città di Livorno


museoartecont1barcelonamuseoartecont1_barcelonaUna città caratterizzata da una ricca cultura. L’attenzione dei suoi abitanti alla propria identità culturale è testimoniata in vario modo

 Paola Ceccotti

Barcellona è la capitale della comunità autonoma della Catalogna ed è la seconda città più popolata della Spagna, con una popolazione di 1,6 milioni compresi nei suoi confini amministrativi (ma la sua area urbana oltre i confini della città conta una popolazione di circa 4,7 milioni di persone).

Bellissimo il MACBA, Museo di Arte contemporanea, che accoglie tra l’altro l’esposizione di “Miserachs Barcelona”(visitabile fino a marzo 2016), il visitatore entra in uno spazio in cui foto della città in bianco e nero che documentano storicamente un passato più o meno recente si traducono in un forte impatto emotivo.

fotomuseo1_barceSono disposte in forma di grandi murales e riproducono un emozionante viaggio nel tempo. Nel settembre del 1964, il fotografo Xavier Miserachs pubblicò la sua opera più importante, un libro fotografico “Barcelona. Blanc i negre”, di grande formato, composto da 400 fotografie che mostrano la capitale catalana attraverso i suoi abitanti.
Si offre allo spettatore una maniera diversa di vedere fotografie in un museo, con ingrandimenti e proiezioni che aiutano il pubblico a immergersi nella realtà catalana raffigurata da Miserachs.

fotomuseobarce1La città1 ha origine antiche e la sua storia è direttamente percepibile, si trova stratificata nelle vie, negli edifici, nelle varie testimonianze raccolte nei musei. Ma non è solo città storica, è anche luogo d’arte e di sperimentazione creativa, e il visitatore può assaporare le varie influenze che la caratterizzano nelle esposizioni e nelle varie collezioni, nella architettura e nella sua originale impronta modernista che permea gli spazi urbani.

20151107_143910Il tutto legato ad una spinta innovativa che coniuga il bello con le esigenze di una comunità moderna aperta al nuovo. Nel 1992 i Giochi della XXV Olimpiade (in catalano Jocs Olímpics de la XXV Olimpíada, in spagnolo Juegos de la XXV Olimpiada) si sono svolti a Barcellona e in quella occasione la città ha potenziato tutte le sue infrastrutture, la metropolitana, le aree portuali, la rete ferroviaria e l’aeroporto, dando straordinario impulso al sempre più importante turismo.
La sua storia percorre strade comuni e talvolta parallele agli altri paesi della nostra vecchia Europa. La città di Barcino (antico nome di Barcellona) fu fondata secondo la leggenda nel III secolo a.C. dal cartaginese Hamil Barca, padre di Annibale e venne poi organizzata dai romani come un castrum, un campo militare fortificato, situato a Mons Taber, una collina dove oggi sorgono da una parte il municipio e dall’altra la sede della Generalitat (Plaça de Sant Jaume).

palazzogeneralitat-barcelonaNel V secolo, in seguito al declino dell’impero romano venne conquistata dai Visigoti, poi dai Mori nell’VIII sec, quindi dai Franchi guidati da Carlo Magno nell’801, che ne fecero la capitale del contado di Barcellona, venne poi saccheggiata da Al-Mansur nel 985. A partire dal X secolo, per Barcellona iniziò un lungo periodo di prosperità grazie al commercio nel Mediterraneo. Furono eretti sfarzosi edifici gotici.

20151108_130024Nel periodo 1638-1652 in opposizione alle politiche repressive di Madrid, alcune fazioni locali, conosciute come Els Segadors (i mietitori), si ribellarono. Iniziò la rivolta catalana, la lotta si protrasse fino al 1652, quando i catalani e gli alleati francesi furono sconfitti. Nel 1700 l’opposizione dei catalani all’egemonia castigliana provocò rivolte che raggiunsero l’apice durante la Guerra di successione (1702-1713) quando la Catalogna si schierò al fianco del Regno Unito e dell’Austria contro Filippo V, il concorrente francese al trono di Spagna. Come conseguenza ci fu la messa la messa al bando della lingua catalana e la costruzione di un enorme forte, La Ciutadella, per tenere sotto controllo i sudditi infedeli. Con la fine del ‘700 la situazione cominciò lentamente a migliorare.

Nel XIX secolo il boom dell’industria e il commercio con l’America, iniziato alla fine del ‘700, rinvigorirono la città; la rivoluzione industriale spagnola, inizialmente basata sul cotone, iniziò proprio a Barcellona e fu seguita presto dallo sviluppo delle industrie del vino, del sughero e del ferro. Il periodo 1888-1929 è quello della Renaixença. Il nuovo benessere, rappresentato dalle Esposizioni Universali del 1888 e dei 1929, diede il via alla Rinascimento catalano ed a un movimento di poeti e scrittori locali per diffondere la lingua della loro gente.

archite1_modernismoTra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si sviluppò il modernismo catalano, uno stile artistico che è diventato uno degli elementi che caratterizzano l’immagine della città. Il modernismo catalano che cercò di recuperare motivi ed elementi della cultura tradizionale catalana, si inserisce nel fenomeno europeo dell’Art Nouveau, ma con caratteristiche proprie.

Tra gli esponenti maggiori Gaudì con il suo stile personale e la sua trasfigurazione visionaria della realtà.

libreria_larosadefoc1Nel 1931, al sorgere della Seconda Repubblica Spagnola, i nazionalisti catalani proclamarono una repubblica all’interno di una ‘Federazione Iberica‘: la Catalogna ottenne una vera e propria autonomia, dopo la vittoria alle elezioni politiche di febbraio 1936 da parte del partito di sinistra, il Fronte Popolare, per circa un anno, gli anarchici rivoluzionari e il POUM (il Partito di Unificazione degli Operai Marxisti) governarono la città.

In Carrer Joaquìn Costa troviamo ancora oggi la libreria anarchica La Rosa del foc2 dall’insegna rosso nera, che sembra avere lasciato immutato l’ambientazione, il contesto culturale e politico, i temi della guerra civile (con il forte spirito libertario e l’anticlericalismo viscerale), come ci appare dai titoli delle riviste e dei libri esposti in vetrina.

20151108_130018Il 1936-1975 è il periodo della guerra civile e del potere di Franco. Allo scoppio della guerra civile nel 1936, i lavoratori e i militanti di Barcellona riuscirono per un po’ a contenere l’esercito golpista.

La città fu l’ultima roccaforte dei repubblicani, fu conquistata dalle truppe di Franco nel gennaio del 1939, poi avvenne una dura repressione, con l’abolizione della lingua catalana e della danza popolare chiamata sardana che oggi vediamo ballare nelle piazze. Migliaia di catalani per non sottostare a Franco abbandonarono il paese passando dal confine con la Francia e da quello con Andorra.

Gli anni dal 1975 e gli ’80 rappresentano l’apertura e la conquista della democrazia.

Con la morte di Franco nel 1975 si ridestò il movimento indipendentista catalano, la lingua catalana fu riabilitata e fu fondata la Generalitat, una specie di Parlamento locale, intorno al quale oggi la gente si riunisce più volte a settimana per danzare la sardana. La Catalogna ottenne l’autonomia regionale e il primo governo catalano fu eletto nel 1980. Forte l’anima indipendentista, come ben sappiamo dalla attualità, e come testimoniano gli organi di stampa e i canali televisivi del territorio, i movimenti e le adunanze libere dei cittadini che amano esporre la loro bandiera alle finestre, ai terrazzi.

Il Museo di storia di Barcellona conosciuto anche con l’acronimo MUHBA, conserva, documenta, divulga, ed espone il patrimonio storico della città di Barcellona, fin dalle sue origini. Ha la sua sede centrale nella plaça del Rei (“piazza del Re”), nel cuore del quartiere gotico (Barri Gòtic), il suo principale promotore e primo direttore fu lo storico Agustí Duran i Sanpere.

A questo punto il pensiero va alla città in cui viviamo la quale benché non possa vantare natali così antichi può però ben essere rappresentante e testimone di una propria storia, di una trasformazione originale che si sviluppa nei secoli, da quando da piccolo borgo di pescatori per volontà dei Medici divenne città e porto importante.

Sarebbe bello allora raccogliere questa memoria in un luogo preciso, tipico per la sua rilevanza storica ed affettiva, in modo che essa si concretizzi e diventi vivi sapere, che sia documento e mezzo di comunicazione allo stesso tempo di una realtà singolare. Una città desiderata e creata, con le sue particolarità di amalgama di culture e tradizioni.

Quale luogo più adatto della Fortezza Vecchia come sede di un Museo della storia di Livorno, che tanto avrebbe da raccontare.

fortezza vecchia livornoDa fortezza marittima, a prigione al tempo del Risorgimento in cui venne detenuto anche Guerrazzi. Una sede dove documentare la ricchezza di questa città e la sua popolazione dalle c.d “leggi livornine”, al suo identificarsi quale luogo ideale di villeggiature come Goldoni descrisse nella sua trilogia sulla villeggiatura, opere (“Le smanie per la villeggiatura”, “Le avventure della villeggiatura”, “Il ritorno dalla villeggiatura”) che videro la luce nel 1761, fino all’epoca della Bella Epoque e ai bagni di mare negli eleganti stabilimenti balneari livornesi. Lo storico sarebbe in grado di ricostruirne la storia documentandola, rendendola ancora di più interessante, riannodando il filo del passato che talvolta si perde nel fragore della modernità.

Mi è capitata tra le mani una copia dell’ “Informatore” del 1968, in cui l’assessore Dante Domenici nell’articolo “Il ripristino della Fortezza Vecchia può attirare turisti e studiosi”, tra l’altro dice che la Fortezza Vecchia una volta restaurata potrebbe avere una utilizzazione pratica a scopi culturali e turistici. Riporto qui una parte delle sue riflessioni:

“Potrebbero infatti esservi ospitati un Museo Archeologico, quel Museo del mare, che è vecchio sogno dei livornesi, un teatro all’aperto, un ristorante tipico ed altri locali di ritrovo e di svago…Molteplici e di vario interesse sono le iniziative che potrebbero sorgere e svilupparsi intorno alla Fortezza Vecchia: ad es. un servizio di navigazione lungo i canali della Venezia e lungo i “Fossi”, cui non mancherebbe certo un buon successo dal punto di vista turistico. Noi auspichiamo che la Fortezza Vecchia, per l’interesse storico che indubbiamente offre, serva in futuro a richiamare sulla nostra città, ora ingiustamente esclusa dall’itinerario culturale e turistico della Toscana, l’attenzione degli studiosi e di turisti. Per la sua posizione sul mare, Livorno può, anzi deve costituire la prima tappa di tale itinerario per i turisti che vengono dal mare… Bisognerebbe che, in tali occasioni, la città fosse in grado di richiamare su di sé l’attenzione dei turisti in modo che questi, una volta sbarcati, non si precipitassero sui pullman per dirigersi verso altre località della regione…”3

Dal 1968 alcune cose sono state fatte, altre restano da fare, tra queste un Museo della città potrebbe essere un centro culturale di grande interesse non solo per i turisti ma anche per le scuole, le nuove generazioni, uno spazio aperto libero fruibile, a proposito è sorprendente come i bambini di Barcellona sono guidati nei musei e vi si accostano con interesse, discrezione e fantasia.

In conclusione vedere nuovi posti è sempre una ricchezza, ma rende anche più consapevoli di ciò che abbiamo, e della necessità di valorizzare quello che ci appartiene.

1Notizie storiche in www.barcellona.org
3 L’Informatore compendio di notizie 1968, n. 30 tip. O. Debatte Livorno

Conferenza Incontro “Rifiuti zero” di Rossano Ercolini al Circolo San Jacopo. 


Conferenza Incontro “Rifiuti zero” con Rossano Ercolini, all’interno di un ciclo di formazione sull’argomento rifiuti

Paola Ceccotti

Rossano Ercolini, maestro elementare, è il vincitore del Goldman Environmental Prize 2013, conosciuto come il Nobel per l’ecologia.

Ercolini è oggi leader del movimento nazionale Rifiuti Zero. La sua strategia, già sperimentata a Capannori, si propone, attraverso il coinvolgimento delle persone, di piccole e grandi comunità, di trasformare il sistema dei rifiuti in Italia. Secondo un metodo bottom-up, nel quale parti individuali sono poi connesse tra loro in modo da formare componenti più grandi, interconnesse fino a realizzare un sistema completo. Si parte quindi dall’iniziativa dei cittadini ma di pari passo si lavora per una legge nazionale Rifiuti Zero, per la quale è stato presentato un progetto di legge di iniziativa popolare. Capannori è un comune in provincia di Lucca di 46 mila abitanti, con zero rifiuti per la strada.

Rossano-ErcoliniI cassonetti per l’immondizia sono un lontano passato, perché si fa la raccolta porta a porta per tutto; plastica, vetro, umido e carta. Con un’idea di circolarità per cui ciò che viene prodotto viene riutilizzato in modo da avere appunto zero rifiuti. È necessario investire nella formazione affinché vi sia una capillare sensibilizzazione verso queste buone pratiche, che non sarà possibile se le risorse sono destinate agli inceneritori.

Un passaggio strategico previsto sarà con la assunzione di responsabilità da parte degli imprenditori, l’introduzione del vuoto a rendere da estendere a tutti i contenitori, e la soluzione del problema degli imballaggi, penalizzando quelle confezioni che hanno un ciclo brevissimo di vita.

conferenza1_Ercolini_24nov2015Un altro passaggio importante è la realizzazione di Centri di ricerca sui rifiuti zero come quello di Capannori. Lo scopo è quello di studiare i prodotti rendendo evidenti le problematicità di smaltimento, proponendo all’industria soluzioni ambientali alternative economicamente compatibili. Un esempio sono le capsule del caffè, ma anche le ricerche che riguardano il riutilizzo di pannolini e pannoloni. Il progetto Lavanda di Bologna offre un servizio di noleggio e lavanderia di pannolini ecologici (lavabili e riutilizzabili) a nidi d’infanzia pubblici e privati del territorio provinciale, con un positivo effetto di impatto ambientale.
rifiutiL’autocompostaggio familiare può essere decisivo nella selezione degli scarti alimentari, da premiare con una corrispondente diminuzione della tassa rifiuti. Ma le buone pratiche tengono conto soprattutto della modifica degli stili di vita attraverso l’educazione, la formazione, di piccoli e grandi.

Il recupero, il baratto, la scelta di materiali riutilizzabili è necessario se si vuole agire in tempo per la sopravvivenza di un ambiente di vita sano. Abolire quindi scelte facili e dispendiose che purtroppo sono diventate comuni come l’utilizzo di piatti e bicchieri di plastica, anche nelle sagre, feste paesane, o nelle istituzioni scolastiche.

Ercolini ha teso a smitizzare il fatto che i paesi nordici siano più avanzati nello smaltimento dei rifiuti con la differenziata, a suo avviso le migliori raccolte organiche sono italiane e affinché esse siano ben fatte è necessario curarne l’aspetto delle qualità merceologiche, questo serve a compensare ad esempio il mancato guadagno per i rifiuti provenienti da altri comuni per lo smaltimento negli inceneritori.

vivi_SJacopo1Numerosi i partecipanti all’incontro e gli interventi.

In conclusione Irene per la associazione Vivi San Jacopo (ttps://www.facebook.com/vivisanjacopo) organizzatrice dell’incontro, ha confermato l’intenzione di fare di San Jacopo, attraverso i suoi abitanti, un quartiere eco sostenibile, volano di una più estesa partecipazione a livello di comunità.

Il Centenario della prima Guerra Mondiale,1915 – 1918


24 ottobre 1917, Caporetto- 24 ottobre 1918, Vittorio Veneto

 Paola Ceccotti

otto dix, la guerra durante un attacco di gas1Dopo la battaglia della Bainsizza l’Alto Comando Austro -Ungarico chiese all’alleato tedesco l’aiuto per una offensiva di alleggerimento che costringesse gli italiani ad arretrare. Il Comando tedesco rendendosi conto della necessità di impedire il crollo degli austriaci rispose alla richiesta inviando la XIV armata con 7 divisioni, artiglierie, e i mezzi necessari, purché questi fossero poi ritirati e resi disponibili per la preparazione dell’offensiva sul fronte occidentale nella primavera del ’18.

Nel 1917 i tedeschi misero a punto una strategia che giocava sulla sorpresa tattica, sulla neutralizzazione delle comunicazioni tra le truppe e il comando e sulla infiltrazione nelle trincee nemiche. Il 24 ottobre 1917 gli Austriaci e le sette divisioni tedesche sfondarono le linee italiane nei pressi di Caporetto (oggi la slovena Kobarid) penetrando in profondità per centocinquanta chilometri. Gli ordini per la ritirata generale furono preparati la sera del 25 , sospesi poi sperando in un recupero, e quindi emanati definitivamente nella notte tra il 26 e il 27. Lo sfondamento del fronte provocò la rotta disordinata di centinaia di migliaia di soldati insieme a colonne di profughi con i pochi beni che erano riusciti a recuperare caricati sui carri, mentre gli austro tedeschi facevano un grande bottino in armi, materiali, e prigionieri. La linea del fronte italiano prima spostatasi sul Tagliamento si attestò sul Piave dove fu opposta strenua resistenza riuscendo a contenere l’espansione austro tedesca.
Cadorna, capo di stato maggiore, scaricò subito la responsabilità della sconfitta; la mattina del 25 telegrafò a Roma la notizia secondo cui i reparti avevano abbandonato le posizioni senza difenderle e il 27 comunicava al presidente del consiglio Boselli che l’esercito era caduto non a causa del nemico esterno ma di quello interno, parlo di viltà dei militari, di disfattisti sostenuti da socialisti e cattolici. In realtà, come venne appurato, le responsabilità erano attribuibili al comando di stato maggiore, alla mancanza nel coordinamento e nella direzione delle manovre, alla gestione unicamente repressiva di Cadorna verso le truppe, ed anche alle rivalità personali tra i generali.

Ecco come la vicenda venne vissuta dal soldato di cavalleria Anchise Breschi livornese, classe 1895, uno fra i tanti militari fatti prigionieri dagli austriaci a Caporetto ed abbandonato poi al destino dal Governo di Roma in uno dei campi di prigionia, fino al termine del conflitto, come risulta dal suo racconto di quei giorni, ritrovato dal figlio.
“Da radio – gavetta, circolava voce che il fronte avesse ceduto sull’Isonzo, ma non avevamo idea di cosa veramente stesse accadendo. C’era molta agitazione al Comando di Reggimento. La mia squadra ricevette l’ordine di partire immediatamente e pattugliare il ponte di Livenza, passaggio obbligato per un’eventuale ritirata delle truppe. Ricordo che ci mettemmo in marcia con i cavalli, al piccolo trotto. Pioveva già dalla mattina ed ero bagnato fin dalle ossa, mentre il cavallo si scoteva inquieto” si legge negli appunti.

72721b66-3911-4a78-8cec-26a091efe0f2E ancora: “Mano a mano che avanzavamo, s’udiva sempre più distinto ed insistente il rumore delle cannonate. Qui si mette male pensavo. Quando infine giungemmo a poca distanza dal ponte, sul fiume, ci rendemmo conto della gravità della situazione. Una vera fiumana di soldati e civili si riversava dal ponte verso la piana, una confusione indescrivibile di rumori, nella quale si perdevano le voci di comandi all’ordine da parte d’alcuni ufficiali. Non sapevamo cosa fare. Arginare quella fiumana di fuggiaschi era impossibile. I cavalli erano agitati e faticavamo a controllarli. Anche il caporale che ci guidava non sapeva quale decisione prendere… Sentimmo improvvisamente come dei latrati, prima lontani, poi sempre più vicini. Erano le voci rauche di comando degli Austriaci che si stavano avvicinando. Dunque, eravamo in trappola.”1
Anchise come gli altri fatti prigionieri venne dimenticato nei campi d prigionia, perché il comando italiano, a differenza di quello francese, non ritenne di far arrivare i pacchi di viveri, i rifornimenti, che sarebbero stati necessari alla sopravvivenza, visto che il nemico che li teneva prigionieri non ne aveva a sufficienza per le sue truppe. In più, doppia delusione, quando tornarono ebbero l’accoglienza che si riserva a chi “ha peccato contro la patria” (D’Annunzio). La propaganda si occupò della prigionia solo per ribadirne il carattere disonorante. “Il disastro di Caporetto, in cui 280.000 soldati caddero nelle mani del nemico, suggellò questa riprovazione: la responsabilità della disfatta era di chi si era arreso senza combattere o peggio aveva tradito”.2

La disfatta ebbe gravi conseguenze sul governo e sul Comando supremo e Cadorna venne sostituito con il generale Armando Diaz. Ma la minaccia di invasione era concreta ed anche i socialisti riformisti Turati e Treves esortarono alla resistenza, distaccandosi da ogni ipotesi di interpretazione eversiva della rotta di Caporetto.

vV2UOdzottodixtritticodellaguerra!

Per far fronte alle perdite umane venne chiamata la leva del 1899.

caporettoLa difesa sul monte Grappa e sul Piave, con limitati aiuti franco britannici, impedì che l’irruzione austro tedesca si estendesse alla Pianura Padana e nei mesi successivi l’esercito imperiale andò incontro ad un crollo su tutti i fronti.
Il 24 ottobre del 1918 il generale Diaz ordinò a Vittorio Veneto l’offensiva generale che ne provocò la definitiva disfatta; il 4 novembre emanò il “bollettino della vittoria” che “venne riprodotto in migliaia di lapidi e imparato a memoria da due generazioni di studenti”.3 La situazione nelle terre invase dopo la rotta di Caporetto è testimoniata dai documenti dei protagonisti di questa vicenda, come nel diario attribuibile alla maestra di Follina:

“Continuo e denso passaggio di truppe o carriaggi austriaci e germanici sotto una pioggia dirotta… Cominciano le depredazioni e la rapina dei viveri e d’altra roba nelle case abbandonate e anche in quelle abitate. Alle prime ore del mattino due soldati germanici sfondano la porta dell’ufficio postale per prendere una bicicletta che era all’interno. In poche ore vengono portate vie le biciclette, i cavalli, i rotabili di ogni genere. Le case dei contadini in specie dove si trova ancora il raccolto dell’annata, sono completamente saccheggiate. Mucche, maiali, pecore, granoturco, frumento, patate, vino, biancheria, vestiti, tutto, tutto è buono, tutto serve, di tutto si ruba.”4
Trincee-tedesche-durante-la-prima-guerra-mondialeElio Nerucci giovane pistoiese chiamato alla guerra a ventisei anni rende nelle pagine del suo diario viva testimonianza di quei giorni di sofferenza, smarrimento, in cui soldati e popolazione dovettero affrontare l’emergenza della lotta per la vita, quando ogni regola e quotidianità viene travolta dalla brutalità degli eventi. Eppure nelle pagine di quel quadernino in cui Elio ha trascritto le sue impressioni in lingua talvolta sgrammaticata e a cui la figlia ha provveduto a conferire una stesura omogenea, si avverte che insieme allo stupore, alla costernazione, c’è un comune sentire con la partecipazione al dolore degli altri; i vincoli umanitari legano gli attori di quella grande tragedia dando vita ad un corale grido di dolore.

Alcuni brani del diario:5

“Nei giorni ventitré e ventiquattro e nella notte del venticinque, il nemico aumentò il tiro di distruzione e logoramento. Tanto che c’era un sibilo continuo seguito da un rullo tambureggiante di colpi di cannone di ogni calibro. Noi si rispondeva solo con qualche colpo. In lontananza sentivamo, sulla nostra sinistra, che infuriava una gran battaglia con spari di mitraglia e fucileria… Il giorno venticinque, alle undici, venne l’ordine di prepararci per spostarsi da quelle posizioni. Il ventisette il nostro comandante credé inopportuno fare resistenza, perché eravamo minacciati di accerchiamento. Alle undici ci giunse ordine di rimetterci in marcia. Ci diedero un po’ di riso cotto nell’acqua e un po’ di Torigiana. Alle dodici si ripartì e ci fecero fare marcia indietro sulla via che avevamo fatto il giorno prima. Camminando fino a sera inoltrata, si passò da tanti paesi. E la folla di borghesi piangeva al nostro passaggio, perché il nemico non avrebbe tardato tanto ad arrivare alle loro case. I signori erano già scappati quasi tutti. Ma la povera gente, senza mezzi di trasporto, doveva restare lì e aspettare la sorte che gli toccava. Erano fanciulli, donne, vecchi, costernati dal dolore per l’invasione tedesca. Ma la nostra triste storia non ci dava sosta. Alle due del mattino venne l’ordine di rimettersi di nuovo in marcia per andare ancora indietro e portarsi aldilà del Tagliamento. Ma soprattutto per non farsi prendere prigionieri. Partimmo sotto una fitta pioggia che in poche ore rese le nostre vesti zuppe d’acqua.
Ma io mi sentivo così giù di forze, che mi ero accorto che non potevo andare più avanti. A rimanere lì mi dispiaceva lasciare gli amici: e poi restare nelle mani del nemico! Ma la fortuna mi volle assistere. In quel momento così triste si avvicinò un bambino. Mi guardò e mi disse: “Vi sentite male soldato?”. Io lo guardai e gli risposi: “Puteo -in dialetto- ho tanta fame”. Quel bambino partì a corsa avanti a noi. Dopo trecento metri si riavvicinò e mi diede un bel pezzo di pane alla contadina. Non potei trattenere le lacrime. Lo presi in braccio, lo baciai e gli dissi: “Tu mi hai salvato la vita. Sei stato tanto bravo. Il Dio ti darà sempre fortuna!”. Di tanto in tanto davo un morso a quel pane e una bevuta nelle fosse lungo la strada. L’acqua non mancava, perché pioveva a dirotto. Era gialla, ma la sete è brutta.… Si venne pochi chilometri sopra Schio. Ci colpì la Spagnola . Morirono molti ufficiali, tanto che una sera il colonnello mi mandò a Schio, nella stanza mortuaria, a portare due candele. Fra i tanti morti c’era il tenente Niccolai di Pisa, del mio reggimento. Ma ormai io avevo salvato la vita.
…Nel gennaio si partì da Schio e a forza di marce si rientrò a Livorno. A tutte le tappe che si faceva alto ci avevano preparato grandi feste. Si fece tappa pure a Pistoia e Montecatini. Sulla salita della strada che porta a Collodi, ci si fermò per due ore: sigarette, da bere, paste e panini imbottiti. Vicino a Lucca balli in molte case. Poi a Livorno un gran ricevimento e banchetto. Non pensavo mai però che finita la guerra il quattro novembre, a causa del Tribunale militare, avrei dovuto restare ancora sotto le armi fino al sedici agosto 1919. Alla fine non ho avuto né medaglia al valore, né pacco vestiario e nemmeno premi di congedo solo per aver avuto la scapataggine di scrivere quella lettera6 senza alcun fine di male. Spero che almeno la croce al merito mi verrà concessa. Questo non è un romanzo, ma il racconto della vita che trascorsi dal diciassette agosto 1916 al sedici agosto 1919. Elio Nerucci”

tower-of-london-papaveri-rossi-prima-guerra-mondialeI reduci sperimentarono il senso di estraneità, il non poter condividere l’esperienza di morte vissuta al fronte per l’impossibilità di tradurre in forme efficaci l’orrore della guerra. Sono forse certi dipinti in cui la realtà irrompe senza mediazioni, che meglio arrivano a comunicare in modo più immediato la carneficina della guerra e l’indifferenza della comunità ai dolori di chi l’ha sofferta.

Note:
  • 1. http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2014/11/05/news/cosi-mi-travolse-la-disfatta-di-caporetto-diario-di-anchise-soldato-livornese-1.1024643
  • 2. e 3. Ivi, pag. 468
  • 4. Follina. dal diario della maestra A. Calcinoni sabato 10 novembre 1917, in http://www.14-18.it/diario/Ms_11_5_001
  • 5. Elio Nerucci, Pinocchio in trincea – diario di un soldato toscano nella grande guerra, in:.http://www.nove.firenze.it/guerra/
  • 6. Ivi, “Nel tempo che mi trovavo a quel servizio scrissi una lettera alla famiglia. Gli dicevo che non stessero in pensiero, perché ero al sicuro (tanto per farli stare contenti) e in un punto della lettera spiegavo il servizio che facevo con le segnalazioni. Senza pensare al danno che potevo fare, mi venne detto che quando lanciavo un razzo con tre stelle verdi, le nostre artiglierie facevano fuoco. Quando la lettera passò alla censura, per la scapataggine di quella frase mi denunciarono al Tribunale di guerra.”
  • http://www.pisorno.it/centenario-1-guerra-mondiale/