giovedì 24 marzo 2016

Rievocazione della nascita della città di Livorno 20 marzo 2016

medici...




Domenica 20 marzo si è celebrata la giornata conclusiva dei festeggiamenti per i 410 anni della nascita della città con una serie di ricche manifestazioni, con oltre 150 figuranti che hanno sfilato in corteo per le vie del centro. Da piazza del Municipio, via Grande, passando per i Quattro Mori per arrivare infine in Fortezza Vecchia dove è stata rievocata la consegna al gonfaloniere Bernadetto Borromei, impersonato per l’occasione dal Presidente della Associazione “La Livornina”, delle cappa e del cappuccio rosso con la quale venne attribuito a Livorno lo status di città il 19 marzo 1606, con le seguenti parole:
 “Questo sarà il segno d’onore che porteranno in avvenire i gonfalonieri della città di Livorno”.

Bellissimi i costumi indossati dai figuranti e l’immagine colorata e festosa di una comunità giovane e intraprendente.  L’intervento del Presidente del Consiglio Regionale Giani accompagnato dal consigliere regionale Gazzetti ha rappresentato il riconoscimento istituzionale delle autorità regionali alla città di Livorno che da piccolo borgo è diventato grazie all’opera dei Medici il principale centro di riferimento per l’attività marittima della Toscana. Una città inventata secondo un progetto ben definito.


Ferdinando I è stato il vero creatore di Livorno, non solo l’ha elevata a città ma ne ha determinato lo sviluppo con le c.d. leggi livornine e accresciuto il territorio. Prima del 1606 l’area di Livorno corrispondeva al Capitanato di porto pisano, così detto perché fin dai tempi della repubblica di Pisa soleva risiedere a Livorno un giudice col titolo di capitano. Il primitivo distretto territoriale di Livorno, già Pian di Porto, come ci dice Repetti citando la convenzione di Lucca del 27 aprile 1413 si estendeva: dal lato di settentrione, con lo Stagno, e di là nel seno di Porto Pisano; dal lato di ostro dalla sommità dei Monti Livornesi scendendo verso il torrente Chioma; verso ponente e libeccio, lungo il littorale; verso levante e scirocco, dalla fonte del torrente Chioma scendendo per i Monti Livornesi passando presso S. Lucia del Monte, la Sambuca e i muri Monte Massimo o Monte Massi.

Il Granduca Ferdinando I dopo averla riconosciuta città, con motuproprio del 14 aprile 1606 istituì il “Nuovo aggiunto all’antico territorio di Livorno” e questo ampliamento prese il nome di “Capitanato Nuovo” estendendo il territorio fino a Rosignano, e “colline pisane”, e comprendendovi la Gorgona.


La Fortezza Vecchia è il simbolo di Livorno, e offre al visitatore la possibilità di spaziare con lo sguardo nei suoi immediati contorni e più lontani confini. Chi sale in cima al Mastio della contessa Matilde si trova preso dalla bellezza di un paesaggio mai monotono, la vista si estende dalle colline livornesi al mare, dalle apuane al territorio circostante dove spuntano tanti campanili e poi si distende ancora in direzione dell’orizzonte e alle isole che si stagliano davanti alla costa, un paesaggio di rara bellezza.


venerdì 18 marzo 2016

Porticciolo di Antignano un'area da preservare

Porticciolo di Antignano





L’area del porticciolo di Antignano è apprezzata per la sua tranquillità, per la possibilità di godimento del litorale marino a costo zero, e per l’opportunità di bere un caffè, prendere un aperitivo, farsi una birra, mentre i bambini, a differenza di quanto accadeva anni fa, sono liberi di giocare e correre, senza il timore di essere travolti da una vettura o da uno scooter o di subire l’inquinamento dei gas di scarico. 
Com'era


Infatti, grazie ad una decisione di fine 2006 del circolo Pesca, della sezione Nautica e del circolo Velico, tale zona  è  stata interdetta all’accesso dei veicoli tramite apposizione di una chiusura con catena. L’area è molto frequentata nel periodo estivo e in misura minore ma continuativa anche nel periodo invernale, in particolare da una popolazione giovanile che ne fa il luogo adatto per incontrarsi, divertirsi magari con una partita al biliardino  o cimentarsi con il ripasso di qualche lezione scolastica. Ma dove c’è frequentazione di persone c’è anche produzione di rifiuti che se non adeguatamente raccolti si depositano da un giorno all’altro moltiplicandosi ed alterando la salubrità del luogo. Ed è a questo fenomeno cui si assiste purtroppo. Gli scogli dai quali si può ammirare l’orizzonte e il tramonto, e distendersi a prendere il sole nelle calde giornate estive conservano nei loro interstizi bicchierini di estathè, pacchetti di sigarette vuote, mozziconi di sigarette che il mare impetuoso poi disperde inquinando il più ampio spazio marino. Nelle giornate estive quando al tramonto l’area si smobilita è frequente vedere abbandonati sul muretto questi rifiuti con noncuranza, forse nella convinzione che spetti a qualcun altro pulire.   


Recentemente sono state approvate nuove norme in materia ambientale con la legge n. 221 del 28 dicembre 2015. L’art. 40 inserisce nel d. lgs. 152 del 2006 (cd. Codice dell’Ambiente) gli artt. 232 bis e 233 ter che riguardano i rifiuti di prodotti da fumo con il divieto di abbandono di mozziconi di sigaretta sul suolo, nelle acque e negli scarichi, e quello di abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni, come gomme da masticare, scontrini, fazzoletti di carta ecc. Lo scopo è quello di  preservare il decoro dell’ambiente, limitando i danni derivanti dalla dispersione incontrollata dei rifiuti. In caso di violazione sono previste sanzioni amministrative da 30 a 150 euro, fino al doppio in caso di abbandono dei rifiuti dei prodotti da fumo. È previsto anche – art. 263 co. 2-bis – che il 50 per cento dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate in violazione degli articoli citati sia destinato nei Comuni interessati a tali violazioni ad apposite campagne di informazione “volte a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze nocive per l’ambiente derivanti dall’abbandono dei mozziconi dei prodotti da fumo e dei rifiuti di piccolissime dimensioni”.
La promozione di comportamenti responsabili verso l’ambiente riguarda tutti se si vuole salvaguardare il bene comune, ed è quindi auspicabile sollecitare condotte virtuose in privati cittadini come nei bar e ristoranti, a maggior ragione quelli che lavorano all’interno di circoli, incentivando quindi la raccolta differenziata di vetro, lattine, o modalità di vuoto a rendere, perché non si debba assistere alle scempio di una indifferenziata raccolta proprio dove quella selettiva  sarebbe più necessaria per la mole di rifiuti prodotti.
Due sono quindi gli strumenti per intervenire: con la prevenzione, con la formazione di “buone prassi” e con la coercizione e quindi con la repressione di quelle cattive attraverso un regime sanzionatorio.

La prima soluzione sarebbe certamente la più auspicabile ma allo stato attuale pare che sia lo strumento più debole a meno che non venga resuscitata una pedagogia che associ alla sfera dei diritti la pari dignità di quella dei doveri, troppo spesso dimenticati a favore di un superficiale edonismo, che riguarda tutti, dal singolo al gruppo, dal giovane all’anziano, se si vuole preservare l’ambiente in cui viviamo.
Gara di pesca a fine corso della scuola di pesca per bambini e ragazzi a cura di volontari del Circolo Pesca Antignano

lunedì 7 marzo 2016

Donne nella prima guerra mondiale



http://www.14-18.it/manifesti 

La prima guerra mondiale rappresentò una cesura nella storia europea, l’irruzione del nuovo, del moderno della tecnologia insieme alla esplosione di atavici impulsi distruttivi.
Tutto ciò provocò il sovvertimento di strutture tradizionali e l’insorgere di nuovi modelli.
Nell'orizzonte femminile la guerra comportò l’emancipazione dagli stereotipi moglie-madre-famiglia sia con l’impiego in attività lavorative in fabbrica e nei campi sia con l’impegno in quelle di supporto assistenziale.
Al momento dell’entrata in guerra il Consiglio Nazionale delle donne italiane venne scelto come organizzatore della difesa civile nell'ambito della organizzazione assistenziale per il sostegno del morale della popolazione. A seguito di questa occupazione il CNDI si caratterizzò sempre più come un organismo patriottico, anche per l’influenza esercitata al suo interno da quelle attiviste che dal 1914 avevano creato un Comitato femminile per l’intervento italiano. Tra queste c’erano ex femministe come Teresa Labriola, ex socialiste come Regina Teruzzi e Margherita Sarfatti, e anarchiche come Maria Rigyer, che avrebbero poi aderito al fascismo.
http://libnat.it/

La livornese Anna Franchi, traduttrice, giornalista, vicina alla posizioni di sinistra di inizio secolo, che già si batte per i diritti civili e chiede con forza il divorzio, in ragione anche della sua condizione familiare, entrando con decisione nel dibattito con un romanzo dal titolo "Avanti il divorzio"(1902), il saggio "Il divorzio e la donna" (1902), e ancora con il suo contributo nella conferenza intitolata "Divorzio" tenutasi alla Università popolare di Parma nel 1903, è fortemente impegnata a sostenere le tesi interventiste.
Le manifestazioni contro gli Austriaci la vedono presente con il figlio Gino, e nel 1915 pubblica con Treves "Le città sorelle" in cui, sostenuta dal suo acceso irredentismo, racconta la storia antica e moderna delle città sorelle, ovvero delle città irredente, condanna il popolo germanico «avverso ad ogni libertà» e giustifica la guerra «per disperdere la barbarie» e non lasciar morire le belle tradizioni latine (in www. interculturalita.it, N. Soglia).
La sua fede nella liberazione finale delle città sorelle sarà incrollabile e l'arruolamento come volontari dei figli Gino e Ivo sarà la realizzazione di un'idea di nuovo risorgimento della Patria.
Quando il figlio Gino, tenente, muore alla testa della propria compagnia sul S. Gabriele il 2 settembre del 1917, riesce a coniugare e superare il dolore come madre nel supremo dolore della Patria stessa. Pubblica per Treves "Il figlio alla guerra", una raccolta delle conferenze tenute nell'Aula Magna del reale Conservatorio di Milano e istituisce, insieme a Angelina e Norina Biasoli, in nome delle madri colpite come lei dalla perdita del figlio la Lega dell'Assistenza delle madri dei caduti. 


 http://valsuganaww1.altervista.org/





La nazione in guerra richiese l’intervento delle donne per fronteggiare la crisi della mobilitazione, il loro sostegno si differenziò secondo la classe sociale di appartenenza. Le borghesi attive soprattutto in opere assistenziali e umanitarie in una opera di maternage di massa, furono infermiere, madrine di guerre; le lavoratrici del ceto medio e del popolo soprattutto nei servizi e nella produzione, la donna divenne tramviera, postina, telefonista, impiegata – come ricorda Isnenghi – dopo essere già maestra.
Le prime impegnate a rendersi utili con opere di beneficenza; si dice che furono confezionati a migliaia di guanti, passamontagna, calze e maglia di lana, quella ruvida filata a mano con la persuasione che fosse più calda e adatta agli uomini al fronte. E per i figli delle donne più povere che dovevano lavorare furono improvvisati nidi per lattanti, asili e ricreatori per i più grandi.
Il primo conflitto mondiale agì come strumento di modifica sociale, le donne andarono a sostituire la manodopera maschile e cominciarono a lavorare nelle officine e in agricoltura sostituendosi agli uomini.
Venne data esecuzione ad un programma produttivo che prevedeva la sostituzione del lavoro maschile con quello delle donne e dei ragazzi non in età di leva, organizzando corsi di apprendistato, vennero istituite anche scuole femminili per la specializzazione in torneria. [1]
Durante la guerra, la crisi economica fu un fenomeno europeo.
 
http://digilander.libero.it/
Nel 1917 si verificarono scioperi spontanei, agitazioni operaie per i minori salari e l’aumento del costo della vita; nei giorni 22-26 agosto a Torino scoppiarono sommosse popolari poi represse da reparti alpini, che spararono sui civili, con decine i morti.



Il 21 agosto 1917 le scorte di farina erano esaurite, e il giorno dopo quasi tutte le panetterie di Torino erano senza pane. La protesta si sviluppò spontaneamente, senza la guida della Camera del Lavoro e del Partito socialista; il mattino del 23 agosto venne indetto uno sciopero generale al quale aderì un’alta percentuale di lavoratori. Il Consiglio comunale rispose facendo intervenire i militari. I dimostranti dopo aver eretto le barricate, guidati da cortei di donne, saccheggiarono negozi, caserme e, in Barriera di Milano, la Chiesa della pace, asportando dalla cantina del parroco “il vino e le provviste contenute che furono distribuite alla folla”. Il 24 agosto, fu la giornata più sanguinosa, e la sera esercito e forza pubblica sferrarono una dura controffensiva, spazzando via le barricate e sedando nel sangue la rivolta. Gli scioperi cessarono il 28 agosto, quando le autorità annunciarono “l’ordine regna a Torino”. Alle giornate di lotta seguì una scia repressiva che portò all’arresto di molti operai e all’invio al fronte di quelli esonerati perché addetti alla produzione bellica. [2]

Le contadine inurbate, decine di migliaia di donne e ragazze molto giovani che arrivano per la prima volta in fabbrica sconvolgono l’immaginario maschile, rappresentano nella loro concretezza al tempo stesso la presenza e la lacerazione tra due mondi distanti quello contadino e quello della fabbrica; “presenza imprevista e difforme di manodopera industrialmente analfabeta capace con la sua anomalia di dare impaccio sia alle norme padronali sia a quelle operaie. Le nuove venute danno il nerbo e il tono alle manifestazioni per il caroviveri, inedita folla vociferante per le strade, più difficile da contenere che le dimostrazioni maschili del tempo di pace”. [3] 

 http://www.grandeguerra.rai.it/

                                                    


L’immagine della donna proposta dalla propaganda durante il conflitto privilegia la figura della moglie del soldato che attende il suo ritorno attorniata da uno stuolo di bambini all'interno delle rassicuranti pareti domestiche, mentre ad altre donne vengono assegnate le funzioni erotiche, in luoghi appositamente istituiti, controllati e organizzati sulla base di prescritte norme, con la realizzazione di "una ragnatela di postriboli militari" nella zona di guerra, e la relativa "legittimazione del commercio del sesso" (in Isnenghi-Rochat cit.)

La trasformazione sociale a causa della guerra ha favorito la modifica della struttura tradizionale della famiglia patriarcale; in molti paesi l’emancipazione femminile fece ampi progressi fino a raggiungere il diritto di voto: in Inghilterra, Germania, Stati Uniti poco dopo la fine del conflitto. Mentre in Italia sarà un traguardo più a lungo sofferto.
A ricordare che la storia non segue un percorso di ininterrotto progresso, alla fine della guerra, la crisi economica e i problemi legati alla smobilitazione, alla riconversione industriale, a quello dei reduci, reclamarono il ristabilimento delle precedenti condizioni e il ritorno delle donne al focolare. Le associazioni di ex combattenti rivendicarono i loro diritti al lavoro chiedendo il licenziamento delle donne, dagli uffici soprattutto dove si ambiva ad essere integrati.
Ma, la storia non si ripete identica a se stessa e l'emancipazione femminile seguirà comunque il suo percorso nonostante le difficoltà che si presenteranno.





in: http://www.pisorno.it/donne-nella-prima-guerra-mondiale/


[1] I. Vaccari, La donna nel ventennio fascista 1919-1943, Vangelista ed. Milano
[2] In http://www.museotorino.it/
[3] M. Isnenghi-G. Rochat, La Grande Guerra, il Mulino


mercoledì 2 marzo 2016

Pittura e Jazz, mostra al “Cafè del mar” a Marina di Cecina



Claudio-Calvetti-Hawk-and-Bird-495x400 (1)Pittura e jazz. Opere di Claudio Calvetti esposte al “Cafè del mar” a marina di Cecina

Paola Ceccotti

Fino al 10 marzo sono esposte al “Cafè del mar” a Marina di Cecina le opere di Claudio Calvetti il pittore della musica. La mostra visitabile gratuitamente è allestita con la collaborazione della galleria “in Villa” di Castiglioncello.

L’artista fin da piccolo è attratto dal disegno e dai colori, ma è soprattutto negli anni sessanta che inizia il suo apprendistato tra ricerca personale e formazione accademica con gli studi alla scuola d’arte villa Trossi Uberti con maestri di alto livello. I suoi dipinti sono un’efficace espressione del rapporto tra arti figurative e quella musica afroamericana che è stata la colonna sonora delle manifestazioni artistiche del novecento dalla letteratura alla pittura, alla musica nonché alla moda.

La sua arte è traduzione di sonorità in una sintesi di colori e forme. I  musicisti e i loro strumenti, le danze frenetiche delle ballerine spiccano con i colori dalle calde tonalità sulla scena pittorica e allo stesso tempo si confondono in un contesto in cui vero protagonista è il ritmo musicale.anche in:http://www.pisorno.it/pittura-e-jazz-mostra-al-cafe-del-mar-a-marina-di-cecina/



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